La tempesta migratoria che sta colpendo l’Europa negli ultimi anni, oltre a sollevare un dibattito acceso in ordine alle modalità di intervento, pone inevitabilmente l’attenzione sull’archetipo giuridico costruito dalle istituzioni comunitarie.
È utile a tal proposito fare chiarezza sui principi fondamentali ispiratori l’azione dell’Unione Europea, sulle garanzie procedurali introdotte e sulle modalità di accesso del diritto alla difesa, accordato ai richiedenti asilo.
L’attuale normativa è il prodotto di un cammino politico intenso compiuto dagli organi legislativi europei, i quali hanno mostrato una capacità di adattamento ai repentini cambiamenti intercorsi nell’area, utilizzando gli strumenti legislativi forniti dal diritto europeo ed internazionale. La disciplina è stata integrata dal rilevante contributo giurisprudenziale apprestato dalla Corte EDU.
La definizione di rifugiato politico è contenuta nella convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi. All’articolo 1 della convenzione si legge che il rifugiato è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”.
Il presente articolo illustrerà la procedura di valutazione delle domande di asilo, ossia le incombenze che ricadono sugli agenti preposti alla decisione ultima sulla scelta di concedere asilo politico o negarlo, riversando sulla soluzione del rimpatrio. Infine verranno analizzati gli strumenti predisposti dall’ordinamento per esercitare il diritto al ricorso, e l’assistenza legale che viene garantita.
Vi è da sottolineare innanzitutto che la valutazione delle domande presentate, secondo le indicazioni che provengono dalla Corte EDU, esigono un accertamento rigido e attento sulla possibilità che sussistano ragioni sostanziali che inducano a ritenere in pericolo l’individuo che tornando nel suo paese d’origine, subisca maltrattamenti, torture o pene che proprio lo spirito dell’istituto del diritto d’asilo mira ad evitare.
Sulla domanda d’asilo l’ordinamento europeo e la CEDU stabiliscono il principio insuperabile per cui il richiedente asilo deve avere a disposizione una procedura di asilo efficace, correlata da mezzi di ricorso dotati di forza sospensiva dell’azione di allontanamento nel caso di rifiuto.
La fonte principale sul tema è la direttiva sulle procedure d’asilo (2013/32/UE), la quale, come previsto dall’art. 3 della suddetta, si applica a tutte le domande presentate nei vari stati europei sottoposti alla norma, oltre a quelle pervenute alla frontiera, nelle acque territoriali o zone di transito.
Coloro i quali presentano la domanda di asilo, ricevono la possibilità, contemplata nell’art. 9, di soggiornare in uno Stato appartenente all’UE, finchè non viene comunicata la decisione presa. La disposizione contempla anche eccezioni al suddetto principio, nei casi di domande reiterate dichiarate inammissibili e di estrazione.
Nell’ambito della procedura di valutazione della domanda di asilo, uno dei momenti più delicati è certamente il colloquio. Ragion per cui è stata dedicata particolare attenzione alla disciplina di tale fase. La medesima direttiva 2013/32/UE, garantisce un colloquio personale ai firmatari della domanda, da svolgersi in maniera tale da tutelare la riservatezza dell’individuo e quindi senza la presenza di membri della famiglia. Anche la scelta del soggetto che terrà il colloquio non è casuale. Da costui si pretende un’approfondita conoscenza del contesto del richiedente, tenendo a riferimento parametri come: l’origine culturale, il genere, dell’orientamento sessuale e la condizione soggettiva dell’individuo. Nel mentre, verrà redatto un verbale accurato che al termine deve essere messo a disposizione del richiedente, il quale potrà presentare osservazioni qualora lo ritenga opportuno. (art.17)
In egual modo, all’esame della domanda sono rivolte prescrizioni piuttosto rigorose. Oltre alle prescrizioni procedurali contenute nella direttiva sulle procedure di asilo, l’organo deputato per addivenire ad una corretta valutazione della domanda, dovrà attenersi scrupolosamente ai criteri elaborati individuati, contenuti nella direttiva qualifiche 2011/95/UE.
L’esame deve essere compiuto in modo individuale, deve essere il più possibile obiettivo e assolutamente imparziale, e soprattutto basarsi su informazioni aggiornate (art. 10 direttiva sulle procedure di asilo, art. 4 direttiva qualifiche). L’art. 10 introduce una tutela di carattere temporale, precisando che non è sufficiente la mancata tempestività del deposito della domanda di protezione, per consentire l’automatico respingimento o l’esclusione da parte degli organismi prescelti.
L’art. 12 della direttiva sulle procedure di asilo risulta sicuramente tra quelli con un maggior alto grado di protezione per l’individuo. Contiene infatti il diritto per i richiedenti ad essere sempre informati sul procedimento da seguire e della relativa tempistica, mediante una lingua agli stessi comprensibile o che ragionevolmente si supponga conoscano. Inoltre laddove ciò non bastasse, è inclusa l’assistenza di un interprete, la possibilità di avere accesso alle informazioni utilizzate per emettere la decisione sulla domanda, di essere messi in contatto con l’ACNUR od organizzazioni che prestino servizi legali, di ricevere notizie della decisione in un tempo ragionevole. Invece, tra i doveri degli stessi, vi è l’obbligo di collaborare in ogni modo utile con le autorità competenti (art. 13).
La domanda di asilo può essere anche ritirata dal richiedenti. Anche quest’ipotesi deve portare lo Stato ad emettere una decisione nella forma della sospensione o del respingimento.
Una stringente tempistica è dettata dalla direttiva sulle procedure d’asilo. Si legge che le decisioni vanno prese entro il termine di 6 mesi da quando perviene la domanda. Se tale scadenza non dovesse essere rispettata, il soggetto deve essere informato del ritardo e, ove lo desideri, deve essere messo a conoscenza delle ragioni che hanno condotto a tale rallentamento. Un termine più lungo (fino a 21 mesi), è possibile allorquando si presentino particolari circostanze correttamente elencate nell’art. 31 paragrafi 3 e 4.
Accade però che le domande possano rivelarsi inammissibili. Tra queste possono essere poste ad esempio le domande reiterate, qualora non subentri alcun elemento nuovo rispetto alla situazione in precedenza analizzata, oppure la certezza che il paese di provenienza del migrante sia ritenuto sicuro, e altre.
L’eventualità che la domanda possa essere ritenuta inammissibile ha quindi sollecitato la predisposizione di adeguati meccanismi procedimentali direzionati ad assicurare la totale e piena esplicazione del diritto di difesa.
Negli corso degli anni, i principi elaborati dal diritto dell’Unione Europea e dalla CEDU hanno sancito l’esigenza di munire l’ordinamento della possibilità di accedere ad un ricorso pratico ed effettivo per coloro che hanno ricevuto un rifiuto sulla domanda di asilo, o più in generale, su qualsiasi altra doglianza che denunci una violazione dei diritti umani.
Sul punto è però sorto un dubbio interpretativo in merito all’autorità riconosciuta competente per la presentazione dell’istanza di ricorso. L’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevede “il diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”. Lo stesso si basa sull’art. 13 della CEDU il quale garantisce il diritto a un “ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale”. Si solleva dunque il problema se sia obbligatorio adire un tribunale oppure se sia sufficiente un’istanza nazionale.
Il punto viene risolto con l’ausilio dell’art. 6 della convenzione, che pur trattando del diritto ad un equo processo dinanzi ad un giudice, sancisce l’inapplicabilità in ambito d’immigrazione e asilo.
La direttiva sulle procedure di asilo impegna lo Stato a prevedere un mezzo d’impugnazione a disposizione del migrante, per le decisioni attinenti la domanda di protezione e sul rifiuto di riaprirne una rimasta sospesa. In più, afferma che il ricorso deve avere un tempo ragionevole e basarsi sull’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto.
Anche la Corte EDU ha dato il proprio apporto sul tema dei mezzi d’impugnazione, sviluppando ed evolvendo i principi sovra citati e ampliando il complesso di garanzie favorevoli al ricorrente. La stessa ribadisce che debba detenere le qualità di “effettivo” in fatto e diritto, e concedere un tempo congruo. Ha introdotto inoltre il postulato della equa riparazione del danno all’occorrenza (Corte EDU, sentenza 21 Gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, n.30696/09).
Sugli effetti sospensivi del ricorso, sempre la direttiva sulle procedure di asilo impone agli stati membri l’obbligo di autorizzare i richiedenti a rimanere nel territorio, fino alla scadenza del termine ultimo per la presentazione del ricorso o fino all’esito dello stesso. Il diritto alla permanenza non è però automatico nel caso di domande dichiaratamente infondate o considerate inammissibili; sarà il giudice competente in questo caso a concedere eventualmente la possibilità di un temporaneo soggiorno.
Il testo della CEDU invece assume l’effetto sospensivo come automatico, se l’esecuzione del rimpatrio possa avere effetti potenzialmente irreversibili e in contrasto col contenuto dell’art. 3 (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”). Sul punto si è espressa la Corte EDU in numerose sentenze (26 aprile 2007, Gebremedhin c. Francia (n.25389/05); 21 Gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, (n.30696/09); ecc.).
Come sovra evidenziato, non tutte le domande di protezione possono ritenersi fondate. Per questo motivo l’ordinamento attraverso la direttiva sulle procedure di asilo, e specificamente mediante l’art. 31, ha ipotizzato l’utilizzo di iter prioritari o accelerati. È stato predisposto a tal proposito un elenco descrittivo di 10 circostanze le quali giustificano l’adoperarsi di tali speciali procedure, sempreché tutto ciò non vada a discapito di quella serie di principi a cui si è giunti sulla materia.
Un focus particolare meritano le cosidette procedure “Dublino”, introdotte col regolamento UE n. 604/2013, e condivise da 32 stati europei. Queste hanno l’obiettivo di individuare lo Stato competente per la valutazione sulla domanda di asilo, limitando la mobilità dei richiedenti allo Stato nel quale sono approdati per primi, fintanto che la procedura non sia stata completata. Se la verifica sulla titolarità della domanda risulti attribuire la competenza ad un altro Stato, il soggetto dovrà essere trasferito in quello incaricato.
Il regolamento Dublino racchiude una serie di indicazioni, integrando il quadro di riferimento. Gli artt. 21,22,25 e 29 fissano i termini entro i quali gli stati devono adempiere alla richieste di presa in carico dei richiedenti. La stessa fonte giuridica nei vari articoli di cui è composta, obbliga questi ultimi a raccogliere determinate prove prima di procedere al trasferimento, a trattare con dovuta riservatezza le informazioni strettamente personali, rendere informato il migrante della presenza del corpus normativo e della scelta di trasferire il richiedente, e di eventuali forme di impugnazione.
Anche a questa procedura sono corredate simili garanzie studiate per la domanda di asilo. È contemplato un colloquio personale con ciascun richiedente e la possibilità di esercitare il diritto d’impugnazione del provvedimento, riconoscendo automaticamente il diritto alla permanenza sul territorio, oppure su decisione del giudice.
Il documento inoltre promuove fortemente il principio di unità familiare (gli artt. 8-11 e 16 alla specifica tematica dedicati), prevedendo sinanche l’eventualità che uno Stato membro dell’UE, a dettagliate e specifiche condizioni, richieda ad un altro di cedere la pratica di domanda d’asilo per pervenire ad un ricongiungimento del nucleo familiare.
Ma può accadere anche che, uno Stato membro dell’UE, pur non avendo alcuna lontana competenza secondo quanto contenuto nel regolamento Dublino, decida di esaminare la domanda (clausola di sovranità art. 3). Ciò avviene se il trasferimento nello Stato precedentemente individuato comporti per il richiedente l’elevato rischio di un trattamento disumano o degradante.
Un capitolo a parte merita l’esercizio del diritto di difesa. L’assistenza legale è un diritto indefettibile riconosciuto all’individuo. A tal proposito vista la complessità insita nella procedura di domanda di protezione internazionale, e attese soprattutto le difficoltà linguistiche e culturali che possono paventarsi, l’accesso a tale facoltà è stato affermato deve essere semplice e sostenuto. È utile confrontare con quali forme si dispiega nella CEDU e nell’ordinamento dell’UE, e gli eventuali dilemmi applicativi sorti.
Il diritto di accesso alla giustizia, rappresenta per la CEDU uno dei cardini del processo equo, immancabile per l’espressione più completa del concetto di democrazia. A fronte di tale assunto, mediante un percorso giurisprudenziale della Corte EDU piuttosto articolato (es: sent. 5 Ottobre 2000, Maaouia c. Francia, n. 39652/98; sent. 10 Gennaio 2012, G.R. c. Paesi Bassi, n. 22251/07), sviluppatosi sui principi di accesso alla giustizia dell’art. 13 e non sulla scia dell’art. 6 che regola l’equo processo (data l’inapplicabilità in materia di asilo politico sovra ricordata), si è ribadito in tale campo che l’accesso alla tutela legale deve essere effettivamente alla portata del richiedente. Ciò significa che, tra gli strumenti messi a disposizione per il pieno dispiegamento, rientra il sistema del gratuito patrocinio.
Problemi interpretativi non sorgono invece col diritto dell’UE, valutato che il diritto ad un equo processo si applica alle materie di asilo e d’immigrazione. L’art. 47 sul punto afferma che “ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare..” e che “a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.
Nello specifico, la direttiva sulle procedure di asilo all’art. 22, include la possibilità di consultare un avvocato o un esperto legale in merito alla domanda effettuata, al quale sono riconosciute facoltà come l’accesso alle informazioni contenute nella pratica, permettergli di incontrare il cliente anche se detenuto, accompagnare il cliente al colloquio programmato, e altre(art.23).
Si aggiunga che la medesima direttiva impone agli stati membri dell’UE di salvaguardare l’accesso alla giustizia agli indigenti tramite l’istituto del gratuito patrocinio. Quest’ultima gode però di un eccezione, può anche essere negata laddove le prospettive di successo non siano concretamente prospettabili (art. 21).
In definitiva, dal panorama legislativo e giurisprudenziale esposto, si evince una profonda sensibilità verso la drammatica condizione dei richiedenti asilo da parte delle istituzioni dell’aria europea. Ciò si è tradotto nell’adozione di procedure complesse, che tengano il più possibile conto della condizione soggettiva dell’individuo e del proprio patrimonio culturale d’origine, mirando a riconoscere a questi ultimi quelle garanzie difensive, considerate elementi cardine di ogni società democratica.